GIUSEPPE GIOACHINO BELLI
Nato a Roma il sette settembre 1791 e qui morto
il 21 dicembre 1863. Visse svolgendo modesti impieghi nell'amministrazione pontificia.
E' autore della più grandiosa raccolta di sonetti della letteratura non
solo italiana: il totale di 2279 fu raggiunto in due fasi creative,
1830-37 e 1843-49. Giudicandoli scandalosi moralmente e politicamente,
Belli affidò gli autografi a mons. Vincenzo Tizzani con l'incarico di
bruciarli dopo la sua morte; il monsignore, invece, li salvò,
consegnandoli al figlio del poeta. Nell'Introduzione
Belli si trincerò dietro l'alibi della fedele documentazione,
dichiarando di aver voluto "lasciare un monumento di quello che
oggi è la plebe di Roma". In realtà, adottando un romanesco vivo
e vigoroso, egli si trasferisce, non senza complicità, nelle strutture
mentali del popolano e, dal suo punto di vista, legge e interpreta le
cose di questo mondo e dell'aldilà. Gli effetti comici mimetizzano,
senza cancellarla, una visione disperata dell'esistenza che travalica
l'orizzonte romano. |
Belli è
figura oggettivamente sui generis, frutto dell’incrocio tra genio,
appartenenza a una cultura chiusa e inevitabile contatto a
distanza con i fermenti che lievitavano nell’Europa
post-illuminista e romantica. Belli è l’antipode naturale del
toscano Giusti: poeta, quest’ultimo, della fiducia nella storia e
nell’emancipazione dei popoli, là dove Belli resta araldo
dell’abisso, della cana eternità che dev’èsse eterna. Il che non
gli impedisce di esprimere, nella luce ambigua e modernissima
della “trascrizione neutra” degli umori della plebe, visioni e
idee di quella stessa Europa formalmente rifiutata o almeno tenuta
a debita distanza: critica sociale, pietà per gli umili, condanna
d'una certa oscenità dei potenti e del potere cristallizzato in se
stesso, ripulsa per una religione ridotta a formulario di precetti
divieti e digiuni. Tanto è il popolo che lo dice. Il “cronista” si
limita a registrarlo. Anche se il suo tagliente endecasillabo
s’increspa di pathos e di compassione quando riferisce quegli
umori, per poi risolvere la contraddizione nel più romano dei
sentimenti: fatalistico disincanto, a volte cinismo. |
I SONETTI DI GIUSEPPE GIOACHINO BELLI
Intervista a
Paola Minaccioni
e Maurizio Mosetti
a cura di Stefania Luttazi
“Il 996”
Rivista del
Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli
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