La commedia ruota attorno alle gesta tragicomiche di un attore che viene condannato a morte con l'accusa di aver recitato un'opera proibita di Fernando De Rojas. Il malcapitato è già sul patibolo quando gli viene offerta la possibilità di fare un ultimo spettacolo in attesa di una fantomatica grazia. Così ha inizio la storia di Colombo, dal primo incontro con Isabella di Castiglia all'infausta fine del navigatore "preso a calci nel sedere" da tutti.

Perché Cristoforo è astuto e rompiscatole ma resta vittima dei potenti che ha cercato di combattere ad armi pari con la furbizia e la menzogna. Un triste epilogo che preannuncia una sconfitta assai più tragica fuori dal palcoscenico. Al termine della rappresentazione il comico scopre di essere stato beffato, che la grazia non è arrivata e può solo divertire i presenti con un'ultima, irripetibile performance: la propria decapitazione.

 

con:
 

Davide Baglioni,  Elvira Casillo,  Alessandra Colaiori,  Debora De Paolis, Sabrina Fanfarillo,  Monica Felici  Anna Ferrara,  Matteo Gizzi,  Simone Granati, Anna Maria Iacoponi, 

Silvio Negrin,  Fiorella Patriarca  Mario Peperoni, Pier Paolo Peperoni,  Anna Rita Santucci,  Giovanna Serafini, Emiliana Vari

Scene: Silvio Negrin
Costumi: Monica Felici,  Anna Ferrara,  A.M. Iacoponi
Aiuto regia: Sabrina Fanfarillo

Regia: Maurizio Mosetti

 

 

È forse la migliore e più equilibrata commedia di Dario Fo, dove si ritrovano tutti gli elementi del suo teatro stralunato e aggressivo. La scrisse nel periodo in cui al Piccolo Teatro di Milano si rappresentava Vita di Galileo di Brecht con la regia di Giorgio Strehler. Anche Fo volle portare sulle scene un personaggio storico, in questo caso Cristoforo Colombo, alle prese con la stupidità dei potenti, di cui l’Isabella del titolo fu certamente un campione. La regina infatti è passata alla storia non solo per aver procurato le tre fatidiche caravelle a Colombo ma anche per la sua sporcizia: per motivi di superstizione religiosa non si lavava mai la camicia che aveva in dosso, per cui ancor oggi il mantello color paglierino dei cavalli si definisce «color Isabella».

In questo testo non predomina un troppo esplicito impegno politico, come in quasi tutti i lavori dal ‘68 in poi; la comicità è ancora venata di poesia, e il linguaggio, esente da cadute nella retorica, si dipana con fantasiosa leggerezza.

Fo è un grande attore-autore di stampo popolare, l’unico che ha raccolto l’eredità della commedia dell’arte, vivendola dal di dentro e trasponendola nella nostra realtà. In ciò è molto lontano dalle esercitazioni di registi intellettuali che con fredda stilizzazione riproducono Arlecchini e Pantaloni in spettacoli estetizzanti che guardano con nostalgia al passato.

Dario Fo è immerso nella realtà, guarda davanti a sé, ma si porta appresso tutto il mestiere del comico popolare, la memoria del circo, la fantasia della rivista, il surrealismo del cabaret, l’aggressività del giullare: un ricco bagaglio culturale che egli non ha concentrato solo nella personalità dell’attore, come ha fatto ad esempio Peppino De Filippo, ma ha riversato in gran parte nelle sue migliori commedie, e in modo particolare in Isabella, tre caravelle e un cacciaballe.